2005
Ero appena rientrata in città, abbronzata ed accaldata dopo torride ferie agostiane e me ne stavo nei miei due metri quadri di giardino pensile che necessitavano quanto me di una energica tosata e l'andirivieni operaio delle api che mi ronzavano intorno non mi infastidiva, da tempo avevo osservato l'ineluttabile gemellanza piante - insetti e a volte, pur stravaccata per ore al sole, vespe e calabroni mi sfioravano sempre di centimetri senza infastidirmi, al punto che ci stavo anche bene così integrata con la natura, io sto qui, voi siete lì, tu non mi pungi, io non ti schiaccio.
Quel dì invece, spostavo e trafficavo tra i vasi e lì in mezzo vidi una cavalletta, grande, lunga, grossa, zampe come cosce di rana pronte a scattare e occhi, occhi giganteschi, occhi orribili, occhi estranei e ripugnanti.
Schizzai in casa e mi ci barricai dentro e per precauzione chiusi anche la finestra dell'altra camera pericolosamente vicina al balcone, ma c'erano ancora trenta gradi all'ombra in quel periodo e mi resi conto che non poteva essere una soluzione definitiva, così, quando arrivò Maurizio, abusai dei vecchi privilegi del mio sesso e lo supplicai di liberarmi dal mostro che nel frattempo si era dileguato e lui si armò di scopa, incominciò a bacchettare tra vasi e ceste di vimini, portafiori e armadietto, ma della cavalletta neppure l'ombra.
Questo accadeva e nel frattempo non mi sono fidata della sua assenza, ho temuto che saltasse fuori da un momento all'altro e per giorni ho messo solo qualche centimetro di piede sul terrazzino, giusto la punta o quel tanto necessario a dare l'acqua ai fiori con un annaffiatoio dalla lunga canna. Prima di uscire ho scrutato cogli occhi la mia piccola foresta terrazzata, capace dunque di essere anche ostile, se può ospitare fra la sua clorofillica ricchezza quello straniero esemplare di una specie a me ributtante, ho guardato e guardato, cercando di scovarla, di intercettarla, di conoscere almeno la sua posizione al fine di regolare la mia; ho cercato e cercato con lo sguardo dal mio fortine e alla fine l'ho trovata, attaccata al risvolto della bandiera della pace che penzola scolorita dalla ringhiera. Fra la molletta e il tessuto, lei è lì.
Non ci vado più lì fuori, mi dico allora, e chiudo la finestra e la guardo, che brutta che è, è orribile con quegli occhi così strani e con quel mimetico corpo striato che per giorni ho temuto mi saltasse addosso, finalmente l'ho individuata, ora mi sento meglio, sapevo che era ancora qui e adesso bisognerà pur far qualcosa e mandarla via perchè questo è il mio giardino e non voglio starci in paranoia, ci penserà Mauri, mi dico e lo adoro, e speriamo che la cavaletta salga sulla scopa che civili le porgeremo prima di lanciarla verso il giardino due piani più sotto, tanto sa volare e mica si fa male.
La osservo oltre la ripugnanza che già è un po' calata e riesco quindi a guardarla, ha anche due lunghe ed agili antenne che ogni tanto si muovono delicatamente, poi mi stufo del film della natura e la lascio lì, ho da fare e devo uscire, la ritroverò al ritorno.
E invece se n'è andata, non c'è più, di nuovo imboscata in chissà quale anfratto, zolla, piega, ansa della mia giungla condominiale, è scomparsa ed ora mi tocca ricominciare e stavolta la cerco io direttamente sul terrazzo, con cautela, ma anche con meno timore, se scappa e si nasconde è un nemico non uso ad attaccare.
Cadono dal calendario i fogli dei mesi e le foglie dagli alberi, della cavalletta mi son quasi scordata ed invece rispunta da dietro una cesta, nel punto riparato tra l'infisso ed il muro, lì dove nasce il terrazzo, ecco dov'era finita, rannicchiata in una tana nascosta, sommersa da vasi e sacchetti di bulbi che solo ora che è quasi inverno vado a smuovere per regalarli alla terra; si è infilata bene, è grande, la guardo senza ritirarmi, non si muove per niente e chissà se è viva.
Che fanno le cavallette d'inverno? marciscono o si seccano, si sbriciolano o congelano, che fanno, non credo muoiano tutte sennò chi le genera l'anno dopo, l'arca arriva una volta sola e se perdi quella è finita, riprovi su un altro pianeta che tanto prima o poi ci si rincontra di nuovo; cosa credi che non stiamo tutti girando da chissà quanto, cavallette, fluidi, dinosari, gas, ominidi e C2E0AP05 che non vuol dire niente, ma se conosci una razza aliena un domani puoi sempre chiamarla come ti pare, tanto non l'ha etichettata ancora nessuno.
Così guardo il profugo insetto che entro i miei confini viene a rifugiarsi dal freddo e provo a dargli qualche fogliolina, magari sta morendo di fame, o forse è solo giunto il suo momento, quanto vive una cavalletta, non saprei dirlo, allora le do pure una goccia d'acqua, anche se quegli occhi son talmente diversi che se non fosse per quelli sarebbe quasi accettabile che se ne stesse lì, a mezzo metro da me, tra i miei fiori, a sopravvivere al freddo in una tana di fronte alla mia. Ma! Spero piuttosto che nel frattempo non m'abbia seminato uova pronte a spuntare in primavera, ma ci penserò poi e intanto quella mi sembra più di là che di qua, non si muove neppure se la sfioro con una bacchetta, tiene fisse le sue sottili antenne e ormai conosco la sua sagoma e il suo colore, capisco che dorme, forse è in letargo e poi è inverno e sul balcone ci vado poco, per me può star lì che poi vedremo.
Tornano per caso sparuti giorni di sole e qualche ape, a dicembre, svolazza faticosamente, grosso esemplare che ci prova a tenere alto l'onore ma dura poco, è un tempo pazzo ma fino ad un certo punto, ma basta quel punto perchè la cavalletta sbuchi dal suo angusto pertugio, che da là non la si poteva stanare senza ucciderla e non volevo, mi dispiaceva alla fine.
Esce timidamente al calore ed io colgo l'attimo, è il momento giusto, il sole poi calerà e lei si rintanerà nuovamente fra gli anfratti del mattone e fra quelli abitudinari del nostro ormai vecchio scrutarci a vicenda con rispetto, in fondo, lei vive il suo ciclo e sul balcone io ci gioco e in tutti questi mesi abbiamo convissuto, guardinghe e distaccate, senza faticare più di tanto.
Con la scopa, delicatamente, la spingo fuori, oltre la ringhiera che limita il bordo, era lì a prendersi il sole ed è stato facile farla muovere verso il giardino, dove potrà svernare, seminare e covare quanto vuole, è giusto così, quello è il suo mondo, non voglio ucciderla per le mie paure, che saltasse fra l'erba dunque finchè c'è un po' di tepore e si cercasse un cappotto di frasche e un nuovo buco al riparo dall'inverno.
La vedo atterrare un po' di sbieco sull'erba già sbieca di suo, si addrizza la snella figura e il baricentro e poi sta lì senza muoversi, ma ormai la conosco e so che piano si avvierà fino a scomparire di nuovo ad ogni vista nemica, bene, è andata bene, la cavalletta ha trovato il suo posto ed io rientro in possesso del mio giardino e mi accorgo che da tempo lo avevo riavuto: lei stava rintanata, io lo sapevo ma mi muovevo tranquilla e ogni tanto la osservavo, solenne ed immobile nel suo indifeso, grigio, freddo dormire.
Finisce così questa storia di umani ed insetti e spesso ci torno col pensiero nei giorni che vengono e intanto vengono anche gli elettricisti per un impianto da rifare e smuovono il sottosuolo per mettere quattro prese in cantina. Roba da non credere le trapanate, ma intanto la mia cavalletta, disturbata, esce di nuovo dai suoi nascondigli e la intravedo sul vialetto di casa, sui sassi esposti e lontana dall'amica erba dove dovrebbe essere, in onore del suo letargo e della sua incolumità, è brutta e sembra orribile al primo sguardo e passerà di lì qualcuno che la schiaccerà, finirà così se non si sposta, è un'addormentata, una cocciuta, si muove solo quando vuole lei e questo è un interrotto sonno per i suoi sensi e non se ne andrà facilmente. Scendo e provo a spostarla, ma non voglio farle danni, dovrei usare la scopa e non ho voglia di salire a prenderla e allora la lascio lì, son quasi le cinque, chi vuoi che arrivi giù per il giardino che fra un po' è buio, me ne andrò e lei si incamminerà pian piano al sicuro, impaurita e scocciata da tante umane invadenze.
In casa la sera la ripenso e ripenso al mio agire e mi chiedo se mi aspettano vicini o lontani le camere ed i materassi di una qualsiasi follia se perdo tempo e mente su una cavalletta, ma poi m'assolvo e mi auguro di poter reggere ancora la fosforescenza del mondo che mi circonda.
Non succederà niente, mi dico, però avrei potuto prendere giù la scopa e spazzarla piano più in là verso il prato, ma cosa vado a pensare, è una cavalletta, seguirà la sua strada e la sua natura, non sono io la sua balia.
La mattina dopo il passo veloce verso il lavoro rallenta sul portone di casa e gli occhi vanno al viale di sasso vicino al giardino dove si è lasciato l'ultimo sguardo e lei è ancora lì, cocciuta e infreddolita non si è mossa, ma dall'angolo storto delle sue ali capisco che è finita e che davvero non la rincontrerò mai più.
Avrei potuto spostarla e lo sapevo che dovevo, ed ora quello che mi resta è che mi fissa con quegli occhi a me ormai un po' familiari e mi guarda come piegata al suo destino che io avevo in mano un'altra volta ed invece con pigrizia ho salutato, cedendo l'impegno perchè faceva freddo e rientrando nella mia calda casa per non uscirne più.