26.7.06

CARI AMICI

Cari amici vi ringrazio. Per la serata di Vicolo Bolognetti.
Cari amici vi ringrazio. Non è stata l' evento che avevamo ipotizzato, ma si è trasformato in qualcos'altro di ben più grande, importante, profondo, umano, vero.
Cari amici vi ringrazio. Con i nostri discorsi, le nostre parole, i nostri sguardi d'intesa e i nostri ricordi vecchi di secoli o freschi di mesi sono tornata alla bellezza della vita a quarant'anni, al conoscere se stessi a fondo, alle domande che hanno trovato finalmente le risposte e son risposte semplici, erano lì alla nostra portata ma prima eravamo ancora troppo piccoli per vederle.
Cari amici vi ringrazio. Scrivere un libro è stato facile, il difficile è il dopo, l'ossessione di vendere, per soldi è vero, ma soprattutto per la certezza di aver scritto qualcosa che piace a tanti, piace a molti, per l'idea di poter essere solo ed unicamente scrittrice, che è difficile, sapete, immaginare di produrre altro, fra un lavoro statale, una famiglia, e un libro col pannolino da far crescere.
E se negli ultimi tempi me n'ero dimenticata, è grazie a voi che son tornata a terra, scendendo dalle nuvole della fama, dai sogni della gloria, dalle illusioni del plauso.......andrà il romanzo o non andrà, me ne frega davvero dopo avervi osservato l'altra sera con gli occhi lucidi, i vostri, i miei, e le nostre calde parole che sapevano di tribù, di cerchio, di uomini primitivi che trovano forza nel gruppo davanti ad un fuoco che terrà lontano le belve? Come alzarsi da quei tavolini, fra candele e copie del romanzo e come andarsene da quei discorsi che coccolavano l'anima se è stato tanto semplice sentirsi in comunione e capire che questo è quello che conta; non ci saranno fama, gloria, onore che potranno riempire altrettanto, l'ambizione è l'ansia della solitudine, la condivisione l'appagamento più consono alla natura umana.
Per cui grazie per avermi riportato a questo, pubblicare il libro è stato bello, ma non può rovinarmi l'esistenza e servono serate come questa per riportarmi a quel valore di pace interiore che nessuna vendita potrà inficiare, nessuna intervista potrà scalfire, nessuna prefazione potrà illustrare. E a quegli amici che avevano caldo, che erano in barca la settimana prima ed erano quindi troppo stanchi, a quelli che in centro senza l'auto non potevano venire, perchè l'autobus no, non mi chiedere di venire in autobus, a quegli amici che mi han chiesto notizie del libro ma erano troppo poco amici per venire a vederne la presentazione, a quegli amici semplicemente dico vaffanculo, non rompetemi con le vostre scusette che san di misera ipocrisia, non state a giustificarvi come avete fatto con messaggi che m'hanno solo infastidito. O ci sei o non ci sei in un rapporto, non ci sono mezze misure, amicizia è dovere, è impegno, non si limita alla cena al ristorante, quattro cazzate e due risate di vino. L'amicizia è Viviana che sudata mi aiuta a sistemare i tavoli del vicolo e recita per me, con la maschera nel sangue e la passione nel cuore, pagine del mio testo. Amicizia è Stefania, sconvolta, distrutta che arriva da fuori Bologna ma vuole esserci lo stesso; amicizia è Octavia, famosa, onirica, superba pittrice, che pure tiene un buco nella sua fitta agenda di impegni per non mancare alla mia serata. Amicizia è Stefano che da Ferrara alza la testa dalle tavole di un importante progetto e non lo conclude ma viene ad aiutarmi per la vendita del libro. Amicizia sono Donatella e Stefano che sistemano i tre figlioletti di qua e di là pur di stringermi nell'abbraccio. Amicizia è Lilli che sotto il sole, alle quattro, attende mia figlia all'uscita dal parco per tenermela, rinunciando alla serata. Amicizia son Massimo ed Antonio, schivi, riservati, grandi ascoltatori che s'imbarcano per il centro, probabilmente a piedi, per raggiungermi. Amicizia è Francesco, che viene dopo aver spaccato legna tutto il giorno per l'inverno di una dispotica ex moglie che non ci va a letto ma lo usa come uno schiavo: si appisola quasi e mi fa tenerezza se nonostante quella stanchezza è lì, e resiste fino in fondo.
Questo è il senso, e non raccontiamoci menate, non arrampichiamoci sugli specchi, non tentiamo di camuffare le cose. Non ci sono vie di mezzo, non possono esserci per non annacquare i valori e i sentimenti veri, non chiedetemi comprensione perchè a furia di capire qua tutto si perde per strada ed io non voglio.
Cari amici vi ringrazio perchè anche a questo è servito Vicolo Bolognetti e vi ringrazio col cuore e con rare lacrime agli occhi per l'infinito onore che ho provato, che non è quello del libro ma quello dell'anima che sa di non essere sola, che sa di poter contare non per una sconosciuta folla acclamante autografi, ma per un sparuto gruppo di gatti spennacchiati che al chiar di luna si sono voluti bene, lunedì scorso.

18.7.06

STORIA DI POPOLI DIVERSI - 2005

2005

Ero appena rientrata in città, abbronzata ed accaldata dopo torride ferie agostiane e me ne stavo nei miei due metri quadri di giardino pensile che necessitavano quanto me di una energica tosata e l'andirivieni operaio delle api che mi ronzavano intorno non mi infastidiva, da tempo avevo osservato l'ineluttabile gemellanza piante - insetti e a volte, pur stravaccata per ore al sole, vespe e calabroni mi sfioravano sempre di centimetri senza infastidirmi, al punto che ci stavo anche bene così integrata con la natura, io sto qui, voi siete lì, tu non mi pungi, io non ti schiaccio.
Quel dì invece, spostavo e trafficavo tra i vasi e lì in mezzo vidi una cavalletta, grande, lunga, grossa, zampe come cosce di rana pronte a scattare e occhi, occhi giganteschi, occhi orribili, occhi estranei e ripugnanti.
Schizzai in casa e mi ci barricai dentro e per precauzione chiusi anche la finestra dell'altra camera pericolosamente vicina al balcone, ma c'erano ancora trenta gradi all'ombra in quel periodo e mi resi conto che non poteva essere una soluzione definitiva, così, quando arrivò Maurizio, abusai dei vecchi privilegi del mio sesso e lo supplicai di liberarmi dal mostro che nel frattempo si era dileguato e lui si armò di scopa, incominciò a bacchettare tra vasi e ceste di vimini, portafiori e armadietto, ma della cavalletta neppure l'ombra.
Questo accadeva e nel frattempo non mi sono fidata della sua assenza, ho temuto che saltasse fuori da un momento all'altro e per giorni ho messo solo qualche centimetro di piede sul terrazzino, giusto la punta o quel tanto necessario a dare l'acqua ai fiori con un annaffiatoio dalla lunga canna. Prima di uscire ho scrutato cogli occhi la mia piccola foresta terrazzata, capace dunque di essere anche ostile, se può ospitare fra la sua clorofillica ricchezza quello straniero esemplare di una specie a me ributtante, ho guardato e guardato, cercando di scovarla, di intercettarla, di conoscere almeno la sua posizione al fine di regolare la mia; ho cercato e cercato con lo sguardo dal mio fortine e alla fine l'ho trovata, attaccata al risvolto della bandiera della pace che penzola scolorita dalla ringhiera. Fra la molletta e il tessuto, lei è lì.
Non ci vado più lì fuori, mi dico allora, e chiudo la finestra e la guardo, che brutta che è, è orribile con quegli occhi così strani e con quel mimetico corpo striato che per giorni ho temuto mi saltasse addosso, finalmente l'ho individuata, ora mi sento meglio, sapevo che era ancora qui e adesso bisognerà pur far qualcosa e mandarla via perchè questo è il mio giardino e non voglio starci in paranoia, ci penserà Mauri, mi dico e lo adoro, e speriamo che la cavaletta salga sulla scopa che civili le porgeremo prima di lanciarla verso il giardino due piani più sotto, tanto sa volare e mica si fa male.
La osservo oltre la ripugnanza che già è un po' calata e riesco quindi a guardarla, ha anche due lunghe ed agili antenne che ogni tanto si muovono delicatamente, poi mi stufo del film della natura e la lascio lì, ho da fare e devo uscire, la ritroverò al ritorno.
E invece se n'è andata, non c'è più, di nuovo imboscata in chissà quale anfratto, zolla, piega, ansa della mia giungla condominiale, è scomparsa ed ora mi tocca ricominciare e stavolta la cerco io direttamente sul terrazzo, con cautela, ma anche con meno timore, se scappa e si nasconde è un nemico non uso ad attaccare.
Cadono dal calendario i fogli dei mesi e le foglie dagli alberi, della cavalletta mi son quasi scordata ed invece rispunta da dietro una cesta, nel punto riparato tra l'infisso ed il muro, lì dove nasce il terrazzo, ecco dov'era finita, rannicchiata in una tana nascosta, sommersa da vasi e sacchetti di bulbi che solo ora che è quasi inverno vado a smuovere per regalarli alla terra; si è infilata bene, è grande, la guardo senza ritirarmi, non si muove per niente e chissà se è viva.
Che fanno le cavallette d'inverno? marciscono o si seccano, si sbriciolano o congelano, che fanno, non credo muoiano tutte sennò chi le genera l'anno dopo, l'arca arriva una volta sola e se perdi quella è finita, riprovi su un altro pianeta che tanto prima o poi ci si rincontra di nuovo; cosa credi che non stiamo tutti girando da chissà quanto, cavallette, fluidi, dinosari, gas, ominidi e C2E0AP05 che non vuol dire niente, ma se conosci una razza aliena un domani puoi sempre chiamarla come ti pare, tanto non l'ha etichettata ancora nessuno.
Così guardo il profugo insetto che entro i miei confini viene a rifugiarsi dal freddo e provo a dargli qualche fogliolina, magari sta morendo di fame, o forse è solo giunto il suo momento, quanto vive una cavalletta, non saprei dirlo, allora le do pure una goccia d'acqua, anche se quegli occhi son talmente diversi che se non fosse per quelli sarebbe quasi accettabile che se ne stesse lì, a mezzo metro da me, tra i miei fiori, a sopravvivere al freddo in una tana di fronte alla mia. Ma! Spero piuttosto che nel frattempo non m'abbia seminato uova pronte a spuntare in primavera, ma ci penserò poi e intanto quella mi sembra più di là che di qua, non si muove neppure se la sfioro con una bacchetta, tiene fisse le sue sottili antenne e ormai conosco la sua sagoma e il suo colore, capisco che dorme, forse è in letargo e poi è inverno e sul balcone ci vado poco, per me può star lì che poi vedremo.
Tornano per caso sparuti giorni di sole e qualche ape, a dicembre, svolazza faticosamente, grosso esemplare che ci prova a tenere alto l'onore ma dura poco, è un tempo pazzo ma fino ad un certo punto, ma basta quel punto perchè la cavalletta sbuchi dal suo angusto pertugio, che da là non la si poteva stanare senza ucciderla e non volevo, mi dispiaceva alla fine.
Esce timidamente al calore ed io colgo l'attimo, è il momento giusto, il sole poi calerà e lei si rintanerà nuovamente fra gli anfratti del mattone e fra quelli abitudinari del nostro ormai vecchio scrutarci a vicenda con rispetto, in fondo, lei vive il suo ciclo e sul balcone io ci gioco e in tutti questi mesi abbiamo convissuto, guardinghe e distaccate, senza faticare più di tanto.
Con la scopa, delicatamente, la spingo fuori, oltre la ringhiera che limita il bordo, era lì a prendersi il sole ed è stato facile farla muovere verso il giardino, dove potrà svernare, seminare e covare quanto vuole, è giusto così, quello è il suo mondo, non voglio ucciderla per le mie paure, che saltasse fra l'erba dunque finchè c'è un po' di tepore e si cercasse un cappotto di frasche e un nuovo buco al riparo dall'inverno.
La vedo atterrare un po' di sbieco sull'erba già sbieca di suo, si addrizza la snella figura e il baricentro e poi sta lì senza muoversi, ma ormai la conosco e so che piano si avvierà fino a scomparire di nuovo ad ogni vista nemica, bene, è andata bene, la cavalletta ha trovato il suo posto ed io rientro in possesso del mio giardino e mi accorgo che da tempo lo avevo riavuto: lei stava rintanata, io lo sapevo ma mi muovevo tranquilla e ogni tanto la osservavo, solenne ed immobile nel suo indifeso, grigio, freddo dormire.
Finisce così questa storia di umani ed insetti e spesso ci torno col pensiero nei giorni che vengono e intanto vengono anche gli elettricisti per un impianto da rifare e smuovono il sottosuolo per mettere quattro prese in cantina. Roba da non credere le trapanate, ma intanto la mia cavalletta, disturbata, esce di nuovo dai suoi nascondigli e la intravedo sul vialetto di casa, sui sassi esposti e lontana dall'amica erba dove dovrebbe essere, in onore del suo letargo e della sua incolumità, è brutta e sembra orribile al primo sguardo e passerà di lì qualcuno che la schiaccerà, finirà così se non si sposta, è un'addormentata, una cocciuta, si muove solo quando vuole lei e questo è un interrotto sonno per i suoi sensi e non se ne andrà facilmente. Scendo e provo a spostarla, ma non voglio farle danni, dovrei usare la scopa e non ho voglia di salire a prenderla e allora la lascio lì, son quasi le cinque, chi vuoi che arrivi giù per il giardino che fra un po' è buio, me ne andrò e lei si incamminerà pian piano al sicuro, impaurita e scocciata da tante umane invadenze.
In casa la sera la ripenso e ripenso al mio agire e mi chiedo se mi aspettano vicini o lontani le camere ed i materassi di una qualsiasi follia se perdo tempo e mente su una cavalletta, ma poi m'assolvo e mi auguro di poter reggere ancora la fosforescenza del mondo che mi circonda.
Non succederà niente, mi dico, però avrei potuto prendere giù la scopa e spazzarla piano più in là verso il prato, ma cosa vado a pensare, è una cavalletta, seguirà la sua strada e la sua natura, non sono io la sua balia.
La mattina dopo il passo veloce verso il lavoro rallenta sul portone di casa e gli occhi vanno al viale di sasso vicino al giardino dove si è lasciato l'ultimo sguardo e lei è ancora lì, cocciuta e infreddolita non si è mossa, ma dall'angolo storto delle sue ali capisco che è finita e che davvero non la rincontrerò mai più.
Avrei potuto spostarla e lo sapevo che dovevo, ed ora quello che mi resta è che mi fissa con quegli occhi a me ormai un po' familiari e mi guarda come piegata al suo destino che io avevo in mano un'altra volta ed invece con pigrizia ho salutato, cedendo l'impegno perchè faceva freddo e rientrando nella mia calda casa per non uscirne più.

17.7.06

PADRI SEPARATI - 2005

2005 (articolo che pubblicai sul giornale di un mio amico)

Ha fatto bene a travestirsi da Superman, il father inglese che si è aggrappato ai reali balconi inglesi ed è rimbalzato veloce sui nostri spaghetti al pomodoro delle venti e venti.
ha azzeccato il travestimento, quel povero dolore che altra via non trova per farsi strada se non quella di un fumetto che ha affamato di avventure un'intera generazione, che attendeva all'edicola l'uscita dei quadernoni della Marvel, ed ora attende ad un portone l'uscita di un figlio a week end alternati.
Bene ha fatto a mascherarsi da Superman, e chissà se è già passato per qualche seggiola non più lettino di un qualche psicologo, prete o barbiere che abbia almeno ascoltato la sua fatica di essere uomo e padre in abiti diversi.
il genitore che fino al sabato prima in pigiama si strofinava i suoi cuccioli nel risveglio o li accucciava sera dopo sera su un water per insegnare loro l'elementare funzione.....quell'uomo rimasto solo nell'appartamento di fortuna ancoro nuovo alle narici che fa?
Se ha voglia di impegnarsi, s'infila nella cabina delle domeniche pomeriggio e veste i panni del super eroe per andare a prendere i suoi figli. Ingoierà l'amaro per ridere con loro, ma all'inizio e se son piccoli è il dramma di un cuore a metà, che pensa, immagina, fantastica visioni non più alla portata dei suoi vettori sensoriali. Quel padre si dovrà dotare di forze speciali per vivere la paternità al di fuori dei quotidiani umori e per gestirla quasi all'essenza del mero dovere economico di mensili alimenti.
A fare di un uomo un padre, nel termine tradizionale, non bastano due week end al mese e qualche giorno qua e là, concordati amichevolmente nel migliore dei casi, subiti o negati legalmente in altri. Ed ecco, dalla magica cabina, comparire l'uomo che va oltre, il super eroe che trascende i limiti emotivi e ne affronta di più solidi, la maschera che assume sembianze e poteri ultraterreni per adeguarsi a schemi ed archetipi e crearne, a sua volta, di nuovi.
Il padre che rappresenterà il suo ruolo sebbene gli sia stato tolto il palcoscenico, il padre che reciterà a scena aperta e senza un copione attendibile se non quello del "ci sono", alla ricerca di una parte nuova, da testare sulla propria pelle, per mantenere un rapporto educativo e trasfusionale coi propri figli.
Sottinteso che per un simile padre super partes intendo quella bassa percentuale di genitori maschi veramente intenzionata ad agevolare il percorso del figlio nel passaggio separazione - affidamento.
Dopo il distacco fisico ed emotivo subentra la presa visione in differita degli avvenimenti relativi alla prole: la perdita del dentino tre giorni prima, la lite con l'amichetto la settimana scorsa. Tutto sa di riferito, è perso l'attimo dell'emozione da incanalare e guidare. Spesso la notizia è di seconda mano per cui riflettuto è il commento-consiglio del genitore part- time; così, filtrato dalla ragione che ha dovuto attendere giorni per esprimersi, il messaggio inviato è spesso scevro di emozioni istintive, l'abbraccio, la carezza, la cazziata, e il "parliamone" prende dunque il sopravvento. Cade a picco, in certi casi, l'intimità, e questi uomini si trovano ad interpretare una nuova figura, quella del padre quasi estraneo, quasi amico, quasi sfogo alla dea madre che tutto può delle loro vite.
Che dire poi del nostro Superman alle prese con nuove relazioni? come il vero super eroe anche il padre separato fa fatica a darsi in toto, non può consegnarsi ad un nuovo amore. Esistono tempi dedicati ai figli che vengono sottratti alla passione e checchè se ne dica il concetto di famiglia allargata è applicabile in presenza di determinate condizioni. Che ancora una volta includono la sperimentazione di modelli culturali e sociali, un contesto economico favorevole, notevoli forze morali ed emotive. ROBA DA SUPER EROE e in tanti declinano l'invito.
E se il divorzio riguarda, come nella maggioranza dei casi, famiglie a medio-basso reddito l'impatto di probabili nuove spese combinato agli alimenti versati fa si che il separato non disponga di notevoli risorse economiche per ricostruirsi un'esistenza. Ecco l'inventarsi strategie per fare fronte a budget limitati e ad esigenze raddoppiate, ecco i super-voli fra finanziamenti, mutui, fidi ardui come i grattacieli di new york da affrontare pugnaci, pur se in caduta libera.
Ma è normale tutto ciò? E' normale che un fantasioso qualcuno si arrampichi su un reale palazzo per poter svolgere il più naturale e il più logico dei suoi compiti? Possiamo aspettarci un Uomo Ragno, un altro convegno, un altro articolo come questo. Ma il dibattito sui nuovi padri riconduce ad una più ampia riflessione: quella suoi nuovi uomini e sulle nuove donne. Mi spaventa la totale aridità dei modelli economici, sociali e comportamentali che in cento anni hanno sconvolto il modus operandi dell'uomo sapiens, sempre più isolato, solo, staccato. La contingenza divorzio è solo una delle tante che supportano la rarefazione dei rapporti umani. Tanti singles affidatari, poche e difficili famiglie allargate, rapporti tesi e conflittuali. Ci sta tutto ormai, ma intanto stiamo costruendo un modello sentimentale sempre più scettico e individuale davanti a vittime che solo Superman può salvare, quei figli che vedono ed imparano dalle nostre comuni gesta.
Contribuiamo ad una formazione culturale sradicata da valori responsabili e siamo ormai alla mercè di una tecnologia che detterà le nostre esistenze. Superficialità nei rapporti affettivi abbinata a profondità di studi genetici, saranno Super eroi gli uomini del futuro? Feconderanno una selezionatissima provetta, questi nuovi semidei? E allora dove saranno finiti gli uomini e le donne che noi genitori eravamo tenuti a crescere?

VECCHI SCRITTI - 1994

27/09/94

Non so perchè, a volte, io senta questa pulsione a scrivere.
Forse per un bisogno di razionalizzare e capire quanto mi accade, sebbene non mi capaciti nella mia esistenza.
L'unica cosa che ho realizzato in questo ora trascinante vortice, ora lento fiume che è il susseguirsi dei miei anni è che gli avvenimenti comunque accadono.
Così, nel bene o nel male, nella felicità o nel dolore, e in tutti i loro stadi intermedi, la vita naviga comunque in sconosciute acque, e scivola nei suoi giorni incessantemente fino a quel porto che è la sua ultima mèta.
Non sono un lupo di mare, porto in me l'ingenuità del mozzo che contamina la sua stessa ambizione, eppure osservo i movimenti di un molo con gli occhi di colui che conosce le stelle, e la gente, la voracità amniotica del mare, così simile a quella della vita.
Quel punto di eterno ritorno che e' l'incessare dei giorni, quelli caduti e persi, o vissuti e presi, e quelli che a prua illuminano l'orizzonte.
A babordo ed a tribordo le occasioni della vita, i carpe diem di cui appropriarsi subito per non rammaricarsi poi o le sicure rotte che un lucido timoniere sa leggere nel disegno divino delle stelle e nelle umane mappe che alla lunga dovrà conoscere, perchè disgraziato è colui che non conosce nè le nozioni del cuore nè quelle della mente. Dal nulla arriva e al nulla va.
Comprendo la suprema estasi o la compiaciuta distruzione a cui può portare l'amore, so cosa può essere. Condivido la calma continuità della logica ed ho intravisto l'affascinante instabilità della follia. Mi rendo conto di come un'esistenza possa trasformarsi in un caleindoscopio di attimi, ore, giorni e questi stessi magicamenti si librino in speranze e sentimenti, o tragicamente s'infanghino in rimpianti e ossessioni fino a trasformare il quotidiano stesso in un'allegra giostra o in un'allucinante montagna russa.

VECCHI SCRITTI - 1994

25/08/94
Mi ritrovo a trent'anni e devo imparare tutto o quasi di una vita che mi stava sfuggendo dalle mani. L'ho afferrata per i capelli e non la conosco. Sono fra la gente con l'ingenuità di una vita bloccatasi a vent'anni e mi accorgo di quanto siano rese complicate le normali vicende dell'esistenza. Mi rendo conto dell'affanno, dell'ansia, dell'angoscia che colpisce l'umanità in questo suo rincorrersi di sogni, desideri, illusioni e fallimenti che pare essere il giorno quotidiano.
Sempre ad inventarsi qualcosa, sempre oltre.
Alzati Uomo e cammina e non desiderare faraoniche piramidi, se queste dovranno comunque contenere il tuo cadavere. Il tuo destino sarà la sabbia che calpesti, il tuo dovere la terra che la genera, il tuo complementare la gente che su questa terra incontri. Le tue parole saranno "io ho" e non "io voglio". Comprendi dunque il geroglifico dell'anima e decifralo con un programma della mente, non sognare un infinito che già che possiedi nel variare di infiniti giorni che incessantemente salgono al sole o discendono in oscure tenebre per risorgere all'alba di certi e magici domani.
Un destino non può essere mai solo un destino.
Si amalgama alle scelte, agli incontri, agli attimi che come meteore illuminano o collimano nell'universo, si stempra nelle decisioni, si compie in mille passioni, sì da creare quell'opera unica che è la vita. Così singolare nella sua individualità, eppure così universale in quel suo sommerso subire i condizionamenti di una intera umanità, le svolte della storia, le variabili di una geografia, e nel provocarli a sua volta.
Appagati dunque, Uomo, di questo tuo compito, meraviglioso e grave. Accontentati di quell'esserci che già di per sè giustifica l'esistenza, dipingi il cammino che ti attende coi murales di una vita, o almeno trova la tavolozza dei colori di cui disponi.
Felice sarà colui che terminerà l'opera ponendovi una consapevole firma, giacchè troppi si fermano alla tela, molti abbozzano opachi ed oscuri colori, pochi creano un bel quadro e rari sono i capovalori.
Vale la pena dipingere comunque, tracciare il sogno o il solco di un disegno o di un segno, stemperare l'anima in colore che l'impulso vuole caldi, accesi o comunque forti e ben evidenti, e cercare poi le sfumature più consone ad un insieme che la mano dell'artista ed il tempo renderanno sempre più comprensibile.
Così l'opera che ogni uomo porta a termine col finire dell'esistenza può essere un'opera al nero o al bianco e noi, novelli Zenone, cerchiamo l'alchemica formula di una felicità che, come pietra filosofale, non esiste al di fuori dello spirito dell'individuo stesso. Si chiami dunque Graal o tempo perduto il fine ultimo di una ricerca, questa nobilita l'animo che l'intraprende per la capacità di perseguire un obiettivo, ma non credo possa costituire l'essenza di un'esistenza che sterilmente si affannerebbe nella rincorsa di simboli che giustifichino l'incapacità a vivere.

10.7.06

il libro che ho pubblicato

Ottobre 1969 - Una bimba impaurita varca la soglia di uno strano collegio e lì cominiciano i suoi ricordi, fra prati verdi, rocamboleschi zingari ed un vecchio autobus arrugginito. L'aspetta una infanzia feroce e cruda, violenta e libera, anarchica e triste, ma ancora non lo sa, mentre corre felice sui colli bolognesi. Imparerà presto, la bambina, l'intelligenza non le manca. Presto cullerà i suoi animali uccisi, assisterà alla rabbia di una nonna alcolizzata, subirà le violenze del pedofilo di turno e per non soccomberere preferirà dormire. Affinchè ogni bruttezza sembri un incubo dal quale è possibile svegliarsi, affinchè ogni ferita si rimargini spontaneamente come nei sogni, affinchè l'inferno in cui cresce possa essere relegato in un lungo sonno.

Ottobre 1999 - I baci di un cavaliere d'azzurro vestito risvegliano la donna dal suo torpore. La bimba è cresciuta e tenta di spiegare all'uomo che la rifiuta le ragioni di una vita sopra le righe. Rilegge i secoli dei suoi anni, i mille volti conosciuti, gli stranieri incontri, le parole cadute e se una domanda le sorge è quasi un rantolo che sgorga: perchè? E allora a nulla valgono il rimpianto, la rabbia, la disperazione se ciò che resta sono un'esistenza scivolata addosso e cicatrici da occultare. E' stata colpa di tutti e di nessuno, questo è quanto. E là dove altri avrebbero scelto la follia, lei continua a scegliere la vita fino al punto da trasformarsi in una sopravvissuta, talmente forte da poter ricominciare sempre.

Tra viaggi, droghe ed illeciti vari, la storia di un lungo sonno e di un impervio cammino, gli abbruttimenti e le rinascite di uno spirito indomito e di un amore per la vita quasi sovrumano.
La storia quasi favola di una saga familiare lunga un secolo, tra fate e streghe inconsapevoli e la voglia quasi magica della protagonista di poter dire al mondo: ci sarò comunque

5.7.06

Il giorno dopo la semifinale

Il giorno dopo la semifinale, tutti mi davano la precedenza, ed erano tranquilli, un po' stanchi forse, ma permeati e avvolti da uno spirito di solidarietà nazionale che mi stupisce ogni volta, e sì che ho visto l'Italia vincere nell'82 e come altre diciasettenni di allora ho fatto il bagno nella fontana del nettuno.
Eppure solo il calcio possiede questa magia, ci fa unire (dov'erano i leghisti? dov'erano le riforme costituzionali e le divisioni degli ultimi mesi?). Solo quella piccola, bruttina, palletta resuscita i moti di un tempo, tutti insieme, tutti amici, tutti italiani.

brava gente saremmo, peccato che ce ne dimentichiamo, speriamo di vincere la coppa, almeno questa splendida sensazione di nazione e di stato durerà ancora per qualche tempo, prima di tornare al nord ed al sud, alla mia regione, alla tua regione, al paesello e alla frazione che da secoli non si possono vedere.

peccato che un campionato duri così poco, peccato che non ci sia altro di altrettanto cosmico e che in mancanza di eventi tragici (guerre, invasioni, orde barbariche, straniero oppressore) l'italiano ritrovi l'italia solo in virtù di un goal che liberatorio permette l'urlo che fu dei nostri nonni, dei tanti morti, degli anonimi eroi che ci credettero..........