17.7.06

VECCHI SCRITTI - 1994

27/09/94

Non so perchè, a volte, io senta questa pulsione a scrivere.
Forse per un bisogno di razionalizzare e capire quanto mi accade, sebbene non mi capaciti nella mia esistenza.
L'unica cosa che ho realizzato in questo ora trascinante vortice, ora lento fiume che è il susseguirsi dei miei anni è che gli avvenimenti comunque accadono.
Così, nel bene o nel male, nella felicità o nel dolore, e in tutti i loro stadi intermedi, la vita naviga comunque in sconosciute acque, e scivola nei suoi giorni incessantemente fino a quel porto che è la sua ultima mèta.
Non sono un lupo di mare, porto in me l'ingenuità del mozzo che contamina la sua stessa ambizione, eppure osservo i movimenti di un molo con gli occhi di colui che conosce le stelle, e la gente, la voracità amniotica del mare, così simile a quella della vita.
Quel punto di eterno ritorno che e' l'incessare dei giorni, quelli caduti e persi, o vissuti e presi, e quelli che a prua illuminano l'orizzonte.
A babordo ed a tribordo le occasioni della vita, i carpe diem di cui appropriarsi subito per non rammaricarsi poi o le sicure rotte che un lucido timoniere sa leggere nel disegno divino delle stelle e nelle umane mappe che alla lunga dovrà conoscere, perchè disgraziato è colui che non conosce nè le nozioni del cuore nè quelle della mente. Dal nulla arriva e al nulla va.
Comprendo la suprema estasi o la compiaciuta distruzione a cui può portare l'amore, so cosa può essere. Condivido la calma continuità della logica ed ho intravisto l'affascinante instabilità della follia. Mi rendo conto di come un'esistenza possa trasformarsi in un caleindoscopio di attimi, ore, giorni e questi stessi magicamenti si librino in speranze e sentimenti, o tragicamente s'infanghino in rimpianti e ossessioni fino a trasformare il quotidiano stesso in un'allegra giostra o in un'allucinante montagna russa.

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